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Approfondimenti

Curiosità su Cagliari ed il territorio cagliaritano

Via e corsi di Cagliari, la toponomastica
I temi ispiratori ricorrenti sono sempre gli stessi: mestieri, cittadini importanti, caratteristiche del luogo, gruppi etnici, chiese. Andare alla ricerca del significato dei nomi con i quali a Cagliari si indicavano strade e piazze vuol dire scoprire un panorama di denominazioni curiose e divertenti. "Andaus a sa passillara" (andiamo alla passeggiata) per i nostri antenati della seconda metà dell'Ottocento aveva un preciso riferimento. "Sa Passillara" infatti indicava quel tratto di strada tra l'attuale Corso Vittorio Emanuele, piazza Yenne e via Sassari che specie nei giorni di festa rappresentava l'irrinunciabile passerella della Cagliari bene. Le curiosità toponomastiche della città erano il frutto di un'accesa e ingenua fantasia popolare, come ad esempio la parte alta di via Iglesias diventava "s'arruga de is ferreris" (la via dei fabbri) per le numerose botteghe di fabbri; l'attuale piazza del Carmine, che all'epoca ospitava il mercato del grano era 'sa prazza de su trigu' (la piazza del grano). In altri casi il toponimo derivava dalla presenza di un gruppo etnico, via Santa Restituta, nel 1700 era nota come 'arruga de is Barbaraxinus' (la via dei Barbaricini). Nell'antico rione di Castello via La Marmora era 's'arruga de is mercantis' (via dei commercianti), perché si esercitava il commercio. Ai giorni nostri questa abitudine è ormai scomparsa, ma una ricerca esauriente degli antichi toponimi riserva infinite sorprese.

I mesi dell'anno nella lingua del Sulcis
I mesi dell'anno secondo la denominazione contadina del territorio del Sulcis: Gennarxu (gennaio), Friargiu (febbraio), Marzu (marzo), Arbili (aprile), Maju (maggio) Lamparas (giugno), Mes'i Argiolas (luglio), Austu (agosto), Capuranni (settembre), Mes'e Laramini (ottobre), D'Ogniassantu (novembre), Meseiras (dicembre).

I sòttani di Cagliari
La Cagliari vecchia termina dove terminano i "bascius", quella nuova comincia dove non ci sono. Dentro la città murata, spagnola, e "castizia" nell'anima, anche dopo due secoli di governo sabaudo, "su basciu" era una visibile prova della divisione in classi sociali. Le classi inferiori al piano terra, quelle più elevate ai piani alti; Tutto è di tinta spagnola nei "bascius", dal nome sardo che altro non è che un'abbreviazione del castigliano "pisos bajos" (piani bassi) al nome italiano sòttano che italiano non è, ma castigliano anch'esso e deriva da un tardo latino "subtanus" nel quale è evidente la discendenza da un "sub-tana" e cioè sotto-tana. D'altronde non è soltanto Cagliari ad avere i suoi sottani o "bascius" che dir si vogliano, Napoli ha i famosi "vasci", e tutta l'area meridionale degli antichi vicereami spagnoli ne è piena. A Cagliari, ognuno dei vecchi quartieri aveva i suoi "bascius" simili e pur diversi nella fisionomia e nel modo di vedere degli abitanti. A Napoli," vasciajola" è parola grave, vuol dire donna plebea; c'è disprezzo e offesa nel pronunciarla, mentre non dovrebbe significare altro che colei che abita un basso. Cagliari non ha una parola offensiva per indicare gli inquilini dei sottani: "genti bascia" o "genti de is bascius", sono espressioni animate al di più da una carica di boria, ma non di volontà di offesa.

'Su basciu' cagliaritano è un vivente esempio della casa di altri tempi. In Castello, a Sant'Avendrace ed anche altrove, 'is bascius' mantengono forme inalterate di estremo interesse. In genere 'su basciu' è composto di due ambienti e dei servizi. L'ambiente principale, anzi, è uno, ma separato in due da una divisione ottenuta da un cortinaggio o da un muro quasi sempre con due ingressi. L'ambiente interno è 's'arcova', quello esterno 'sa sala'. I tendaggi di separazione, più o meno barocchi ed appariscenti, avevano ed hanno ancora, 'ginefras' e 'cortinas', di velluto le une e di pizzo le altre e costituiscono l'orgoglio della famiglia. 'Sa sala' è l'ambiente di rappresentanza, ben in vista al mondo, dagli usci che si chiudono solo di notte. 'Su Cumò' è il re di quell'ambiente. Sopra 'Su Cumò' era d'obbligo 'sa candela a petroliu'. Alle pareti trionfavano le oleografie. Otelli e Desdemone, panorami di laghi romantici, castelli scozzesi, pernici e pesci costituiscono i pezzi forti dell'iconografia murale de 'is bascius'. Al centro de 'sa sala' campeggia 'sa mesa bona', un rispettabile tavolo di legno massiccio, coperto di un tappeto nel quale si svolgono ampie scene figurate. Intorno a quel tavolo gravita la vita domestica ufficiale e su quel tavolo di rappresentanza nessuno ha mai mangiato. In un'oscura cucina tutto macchie e fumo si mangia. A due passi dal tavolo dove si consumano i pasti sta, oscuro e terribile, 'su comudu', spaventosa riproduzione in miniatura di una famosa bolgia dantesca. Ma anche la cucina aveva un suo decoro: 's'arramini' (gli utensili di rame) che appeso alle pareti dava luci di dovizioso oro antico a quegli antri da cavernicoli e 'is schidonis' (gli spiedi), schierati in serie ricordavano le armerie di nobili castelli.

Il coltellino - “Sa pinta coccoi”
Ad Arbus era usanza che i fidanzati donassero alle future spose un coltellino, sa pinta coccoi. Questo oggetto, tramandato di madre in figlio, doveva servire per la decorazione del pane, in tutte le principali ricorrenze, per tutto l'arco dell'esistenza. Oggetto rarissimo, è custodito, in due esemplari, del 1700 e del 1800 al museo del coltello di Arbus.